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Voglia di cambiare? È tutto nelle 5 domande più frequenti.


Tra desiderio di cambiamento e la paura di farlo, queste sono le cose che mi sento chiedere più spesso. Le ho messe in ordine per creare un piccolo viaggio verso il cambiamento sostenibile. Scoviamo le strategie che applichiamo senza nemmeno rendercene conto e iniziamo ad agire i primi passi per il cambiamento che vogliamo, con una serie di spunti e suggerimenti!

Indice

Iniziamo…

Perché il cambiamento è così difficile?

Abbassiamo subito le armi dell’auto colpevolezza, della mancanza di determinazione o di impegno.
Se cambiare è difficile, la responsabilità è delle sinapsi!

Qualche esempio…

La fatica delle prime guide è la dimostrazione di come una cosa nuova diventi facile in breve tempo.

L’esempio che spopola su questo tema ma che è anche sempre molto efficace (quindi è inutile che io mi scervelli a trovarne uno più originale) è quello del guidare la macchina: la prima volta sembra di far decollare l’Apollo 13 da quante cose azionare, considerare, coordinare contemporaneamente. Dopo un po’ di pratica, invece, riusciamo a fare addirittura cose illegali mentre, contemporaneamente, decolliamo.
Iniziare è stato faticosissimo, ma poi è diventata un’attività così ordinaria da non avere più nemmeno bisogno della nostra attenzione.

E che cos’è il cambiamento se non fare qualcosa di diverso dal solito? Abbiamo sempre fatto A e ad un certo punto decidiamo di fare B. L’abbiamo deciso quindi avanti con determinazione che… volere è potere!

In seduta arriva sempre il momento de “La Comprensione” (una magia meravigliosa detta anche insight) grazie alla quale il cliente capisce all’istante cosa fare e perché. Per una volta è sicuro, senza dubbi o preoccupazioni, perché ha sentito fin nelle ossa che quella è la cosa giusta! Esce dallo studio ad un metro da terra con le spalle large e la camminata dell’eroe pronto a sfidare il mondo, finalmente sicuro.

La volta dopo torna con le orecchie basse e mi chiede perché, nonostante sia così convito, è difficile fare quello che sa che è giusto e buono per lui.

Cosa centrano le sinapsi con la voglia di cambiare?

E torniamo alle sinapsi… Immaginiamole come dei solidi ponti che portano, da un neurone all’altro, le indicazioni su quello che vogliamo fare e come farlo. I neuroni ricevono queste pachidermiche informazioni dettagliate e mettono in moto il sistema nervoso, il quale fa scattare muscoli e quant’altro. Così facendo il nostro intento diventa azione: il piede preme sulla frizione, la mano ingrana la marcia, il dito attiva la freccia, gli occhi puntano lo specchietto e si parte.

Se quel movimento lo facciamo sempre, la situazione è ordinaria. Il cervello nemmeno si scomoda perché sa che l’abbiamo fatto mille volte e siamo sopravvissuti. I neuroni vedono arrivare le informazioni e le fanno passare, continuando a chiacchierare di altro.

Se la situazione è nuova, ecco che si verifica il temuto “cambiamento”. Nessun neurone ha mai dato quell’ordine e il ponte da cui giungono le informazioni, nemmeno esiste! E così la sinapsi è una corda di fortuna lanciata dal neurone A al neurone B e l’informazione di “attivare quanto necessario” per fare quella determinata azione, quel cambiamento alla norma, assomiglia molto ad un pachiderma equilibrista su un capello teso.

Il cervello a quel punto molla tutte le attività che stava facendo (tipicamente pensare ai fatti suoi, stravaccato sulla sedia con i piedi sulla plancia di comando) e manda allarmi di allerta e segnali di pericolo ad ogni livello. C’è un’attività sconosciuta e potenzialmente mortale che minaccia la nostra sopravvivenza.

E così, dopo la nostra prima guida, scendiamo dalla macchina sfiniti, con la maglietta da strizzare, il battito cardiaco da ricovero e il serio dubbio sulla convenienza (energetica) di rifarlo. Le volte successive, a forza di messaggi in equilibrio sul capello, diventa evidente la necessità di solidificare il ponte, la fune diventa un’asse e poi un ponte tibetano e poi di legno e via via fino al Ponte di Rialto. Tutto il quartier generale si rilassa e i neuroni tornano a parlare del tempo mentre noi andiamo da Venezia a Milano in due ore e mezza, mandando mail e prenotando il ristorante (non fatelo perché il fatto che il pigro cervello sia multitasking è una bufala).

Cambiare costa molto al nostro corpo!

Perciò cambiare è fisicamente faticoso e potenzialmente pericoloso. Il cervello è un tipo pigro che non ama le novità, perché significano energia da investire. Dal suo esclusivo punto di vista, assolti i bisogni primari che garantiscono al corpo la sopravvivenza e che sono già attività straordinariamente complesse, tutto il resto è inutile e pericoloso.

In altre parole, noi decidiamo pure che vogliamo iniziare ad andare in palestra che il nostro cervello ci darà del filo da torcere! E non è colpa della nostra determinazione, è una questione di sopravvivenza: noi siamo la nostra neocorteccia (giovane struttura cerebrale capace di funzioni cognitive complesse e immaginifiche) mentre chi ci rema contro è l’amigdala (millenaria funzione che agisce automaticamente per istinto di conservazione). In altre parole la sfida è tra l’attività di una bambina di 5 anni con una scatola di pennarelli davanti al candido muro della sua cameretta e quella del buttafuori palestrato cinquant’enne del Cocoricò che difende il muro appena tinteggiato.

Il volere della giovane neocorteccia non basta quando si attiva l'amigdala!

Ti propongo un esercizio di verifica:
da domani cambia la mano con cui ti lavi i denti e prendi nota di cosa succede.

Quando il cambiamento è necessario?

Il cambiamento è necessario quando la situazione attuale provoca un continuo malessere. La Treccani definisce il malessere come uno “stato di vaga sofferenza e di leggera indisposizione fisica, che, per la sua stessa natura, per il sopraggiungere improvviso e privo di una causa apparente, provoca in genere un senso di prostrazione e di inquietudine interna”. Se immaginiamo che questa situazione diventi costante, allora diventa necessario cambiare. Per stare bene diventa fondamentale cambiare qualcosa o cambiare tutto!

Addirittura… necessario?!

E’ una domanda da non sottovalutare visto che, malessere o no, stiamo andando avanti con la nostra vita. Faccio appello all’esperienza comune di quando qualcosa che accade o sta per accadere (o anche semplicemente immaginiamo che possa accadere) ci chiude lo stomaco. Oppure ci fa “tremare le gambe” dandoci così una chiara sensazione fisica di instabilità a causa della quale sentiamo il bisogno di sederci. Oppure ci fa scattare come molle e ci fa fare cose che nemmeno l’incredibile Hulk!

Non abbiamo mangiato nulla di pesante o di tossico per avere lo stomaco chiuso. Non abbiamo fatto alcuno sforzo per sentire le gambe cedere. Non abbiamo assunto sostanze dopanti per riuscire a fare l’incredibile. E’ solamente accaduto qualcosa fuori da noi o nella nostra immaginazione. Questo significa che è la nostra mente ad aver provocato un effetto fisico nel nostro corpo.
Basta un pensiero per generare un effetto fisico nel nostro corpo.

In situazioni emotivamente forti come paura o rabbia, la risposta del corpo è un cambiamento immediato che diventa visibile ed è impossibile ignorarlo. In questi casi qualcuno si rende conto che lo stomaco gli si è chiuso per la paura di un esame, qualcun altro di meno attento lo attribuisce a qualcosa di non meglio definito (di solito esterno a lui) che lo ha fatto star male.

Il corpo è il primo messaggero della necessità di agire un cambiamento per stare bene.

Ma se la situazione è di malessere costante, i cambiamenti del nostro corpo saranno meno eclatanti. Magari avremo poca fame, faremo fatica ad addormentarci, ci sentiremo un po’ stanchi… nulla che ci obblighi ad uno stop di verifica. Questa condizione è l’anticamera di quelle che vengono definite “malattie psicosomatiche”. A meno di non volerci ammalare, il malessere è una condizione che va riconosciuta e considerata, proprio per poterla cambiare. In questo senso è necessario un cambiamento che eviti un peggioramento della situazione complessiva.

Come si può riconoscere il malessere?

Semplicemente iniziamo ad osservarci e a parlare con noi stessi francamente. Facciamolo chiedendoci qualche “come mai”.
Come mai siamo svogliati?
Come mai tutto ci sembra lo stesso e in fondo non ci importa poi molto?
Come mai le cose che prima ci facevano sorridere, adesso ci lasciano abbastanza indifferenti?
Si tratta della nostra vita e se non abbiamo interesse ad occuparcene, anche questo è un segnale abbastanza significativo.

Osserviamo che la vita va avanti, facciamo bene ogni cosa, il lavoro non è il posto in cui andiamo più volentieri ma almeno abbiamo un lavoro. La nostra relazione non ci fa più battere il cuore e per le vacanze ci dobbiamo un po’ adattare ai gusti del partner ma è normale perché stiamo insieme da secoli. Osserviamo che decidere cosa fare la domenica è una piccola agonia perché vorremmo tanto starcene sul divano… però sembra brutto. Oppure, al contrario, ci prende un’inspiegabile irrequietezza se non abbiamo programmi per il week end e rischiamo di dover restare a casa, soli con i nostri pensieri.

Malessere. Vogliamo veramente aspettare che capiti qualcosa di eclatante per fare il cambiamento che ci serve? Perché la vita è generosa e ha bisogno della nostra vitalità, perciò se ci vede spenti e un po’ appassiti, farà senz’altro qualcosa per scuoterci.

A questo proposito c’è anche chi preferisce lasciar fare, ma a me un po’ di “aiutati che il ciel ti aiuta” ha sempre fatto comodo!

Perché ho sempre voglia di cambiare?

Il sempre è un assoluto su cui riflettere. Oggi mi considero la “regina del cambiamento” ma c’è stato un tempo in cui mi sono chiesta se tutti quei cambiamenti non fossero una fantastica scusa per evitare di impegnarmi in qualcosa o, addirittura, per non dover reggere il successo.

Bella l’immagine della farfalla che vola di fiore in fiore, ma nelle relazioni questo atteggiamento può essere poco edificante. Ci sono CV lunghi da far concorrenza ai 10 piani di morbidezza della Scottex per l’inenarrabile quantità di esperienze lavorative collezionate. E conosco anche qualcuno che conserva un pacco di scatoloni ben ripiegati in un ripostiglio perché trasloca più o meno ad ogni ciclo lunare!

Bella l’immagine della farfalla che vola di fiore in fiore, ma nelle relazioni questo atteggiamento può essere poco edificante. Ci sono CV lunghi da far concorrenza ai 10 piani di morbidezza della Scottex per l’inenarrabile quantità di esperienze lavorative collezionate. E conosco anche qualcuno che conserva un pacco di scatoloni ben ripiegati in un ripostiglio perché trasloca più o meno ad ogni ciclo lunare!
Le motivazioni per continuare a cambiare possono certamente essere le più svariate, ma se ci stiamo chiedendo perché abbiamo sempre voglia di cambiare, ci mettiamo di diritto in una posizione più specifica.

Cambiare senza sosta, senza sostare stando fermi abbastanza da sentire , è una difesa.

La risposta breve, in questo caso, è che cambiamo per non sentire il malessere. Impossibile generalizzare ma ecco qualche spunto di riflessione.

Cambio perché non reggo.

Nelle relazioni cambiare significa lasciare. Quante volte siamo noi a lasciare? Se la risposta è “sempre”, questo è un buon punto di osservazione. Qualche spunto può arrivare anche dalla frequenza con cui lasciamo. In questi casi la domanda più suggestiva potrebbe essere “che cosa temo nelle relazioni?”.

Potremmo magari accorgerci che in situazioni come convivenze o matrimoni qualcosa nel nostro stomaco si chiude ben oltre la persona che frequentiamo. Oppure potremmo scoprire che la paura (e la convinzione) che prima o poi saremo lasciati, ci fa giocare d’anticipo.

In altre parole ci sono delle sofferenze di cui non siamo del tutto consapevoli che, per essere evitate, ci fanno cambiare a suon di “scuse”, che sono semplicemente gli strati superficiali del problema. Lasciamo perché lui/lei è sempre in ritardo, perché non gli piace il nostro gatto, perché odia il mare, perché è eternamente questo o quello. In altre parole, nulla che abbia a che fare con come ci sentiamo noi.

Nel lavoro cambiano un po’ gli scenari ma la base resta: quanti lavori ho lasciato? Quanto spesso? Quanto simili sono le motivazioni? Cosa rischio a restare lì?

A volte il problema è una nostra insofferenza di fondo, soprattutto se abbiamo studiato ragioneria e volevamo fare l’acrobata circense. Quale genitore responsabile ci avrebbe sostenuto? Eppure al lavoro, invece di essere onesti con noi stessi, ci lamentiamo che il capo è la causa di tutti i nostri problemi. E se non ce ne rendiamo conto sarà così ogni volta, con ogni capo…

In entrambi i casi (e lo stesso vale naturalmente per traslochi o altro) il mood di fondo è una sorta di lamento rispetto alla situazione che sentiamo di dover cambiare. Dobbiamo proprio farlo perché non è possibile tollerare ulteriormente quella situazione impossibile, ingiusta, anti etica o troppo diversa dal nostro modo di essere.

Cambiamo continuamente quando abbiamo una soglia interna di tolleranza fino alla quale possiamo reggere tutto, senza entrare eccessivamente in contatto con il nostro famoso malessere. Perché superata quella soglia dobbiamo cambiare, toglierci da quella situazione così insostenibile, altrimenti rischiamo di doverci disperare veramente e scoprire che niente va bene e non siamo affatto felici… Questo non sarebbe “sostenibile” e cambiare la situazione ci salva dal doverci fare i conti.

Cambio perché cerco!

Se finora l’atteggiamento è di lamento e il cambiamento è quasi il dovere morale di prendere distanza da una specifica situazione, ci sono anche situazioni in cui il cambiamento stesso è l’obiettivo. Non c’è un capo insopportabile “causa di tutti i nostri guai”, ma c’è un apparente nulla cosmico, un rumoroso silenzio, un grigiore asfittico da cui fuggiamo in cerca di nuovi colori.

Anche in questo caso non si può generalizzare e valgono le considerazioni sulla quantità. Qui però il punto è che non troviamo pace. Nulla di tutto quello che facciamo, iniziamo, proviamo ci fa sentire veramente bene o “a casa” e il movimento verso il continuo cambiamento è generato da una sorta di insofferenza, senso dello spreco di tempo o di vita.

Cerchiamo qualcosa che però ci guardiamo bene dal definire. Riempiamo le giornate e collezioniamo hobby o passatempi, abbiamo mille amici e raramente passiamo a casa una sera.

Anche in questo caso la domanda è “qual è il rischio se mi fermo?”.
Stare fermi un momento è faticoso, rende evidente il malessere che sentiamo e questo non ci piace per niente.

In tutte queste situazioni, il cambiamento è una strategia per non fare i conti con noi stessi. Nulla di grave naturalmente ma dipende sempre dall’obiettivo. Qual è il tuo obiettivo generale di benessere? Se stare bene significa non stare male, allora cambiare continuamente è un’ottima tecnica per stare lontani dalla possibilità di sentire il malessere. Questo però non significa che non ci sia. Significa solo che non vogliamo sentirlo… e questa mi sembra tutta un’altra storia!

Cambio perché vivo

Quando sapremo i “perché” e i “come” del nostro agire il cambiamento, quando avremo fatto pace con il malessere e avremo deciso di prendercene cura come merita, quando il nostro capo non sarà più la causa di tutti i nostri problemi… solo allora potremo agire il cambiamento sostenibile.

Cambiare è un atto vitale evolutivo fondamentale. Se non cambiamo non cresciamo: non potremmo crescere se non cambiassimo ogni cellula del nostro corpo. Cambiare è una delle poche attività che ritengo veramente sostenibile per l’essere umano, semplicemente perché è l’unica attività che sostiene la vita stessa.

E’ una verità talmente riconosciuta che i detti sull’importanza di cambiare si sprecano, ecco qui i miei preferiti:

Nessun uomo si bagna nello stesso fiume due volte

Eraclito

Ci deliziamo nella bellezza della farfalla, ma raramente ammettiamo i cambiamenti a cui ha dovuto sottostare per raggiungere quella bellezza

Maya Angelou

L’unica costante della vita è il cambiamento

Buddha

Chi a cinquant’anni vede il mondo così come lo vedeva quando ne aveva venti, ha sprecato trent’anni della sua vita

Muhammad Ali

Come trovare il coraggio di cambiare vita?

Sembra più facile trovare il coraggio di cambiare una vita mediocre senza nessun aspetto che brilli particolarmente, rispetto a voler cambiare una vita di successo che comunque non ci soddisfa. Ho avuto l’occasione di accompagnare nei loro cambiamenti molte persone di entrambi i tipi e c’è un comune denominatore: la difficoltà di ammettere che quello che hanno fatto finora non è andato bene e la conseguente incapacità di immaginarsi un nuovo modo di fare.
Come se cambiare qualcosa o l’idea su qualcosa mettese in discussione la loro identità, il senso più profondo di loro stessi.

Paura: un piccolo errore e crolla tutto…

Se sentiamo la necessità di cambiare vita al punto da chiederci dove trovare il coraggio per farlo, significa che qualcosa della nostra vita attuale non va. Allora iniziamo ad analizzare dati come un computer del Cern, passando al vaglio cosa va bene e cosa no, oltre ai motivi per cui siamo arrivati a quella situazione, quali scelte, quali necessità.

Per cambiare bisogna riconoscere ciò che c'è, non volerlo correggere.

Così facendo è come se osservassimo un castello di carte a tre piani in perfetto equilibrio e volessimo cambiare le carte del secondo piano. Ci serve un immenso coraggio perché quasi certamente sarà una catastrofe.
Quello che facciamo intervenendo sul castello di carte è guardare il dato oggettivo e diventare noi stessi quel dato, il castello. Da questo punto di vista cambiarlo significa cambiare noi stessi e disconoscere quello che abbiamo fatto fino a quel momento… e la mano protesa con la nuova carta trema e si ritira.

Così facendo è come se osservassimo un castello di carte a tre piani in perfetto equilibrio e volessimo cambiare le carte del secondo piano. Ci serve un immenso coraggio perché quasi certamente sarà una catastrofe.
Quello che facciamo intervenendo sul castello di carte è guardare il dato oggettivo e diventare noi stessi quel dato, il castello. Da questo punto di vista cambiarlo significa cambiare noi stessi e disconoscere quello che abbiamo fatto fino a quel momento… e la mano protesa con la nuova carta trema e si ritira.

“Ho sempre fatto la parrucchiera e adesso mi viene la nausea ogni volta che prendo in mano un phone. Eppure io ho studiato per fare la parrucchiera, ho dedicato tutta la mia vita a questa attività, sono conosciuta o riconosciuta per questo. Se cambio questo della mia vita, non so più cosa essere e cosa fare.”

Se da quello che facciamo dipende chi siamo, stiamo rendendo il cambiamento una sfida troppo complessa per il nostro cervello. Complessa e pericolosa: allora si che serve tanto coraggio.

Le infinite possibilità!

Per trovare il coraggio basta mettersi nella condizione in cui non serve tutto quel coraggio.

Tornando al castello di carta, basta lasciarlo li com’è, con tutto ciò che rappresenta, ringraziando noi stessi per la cura in ogni carta posata e accettando quel secondo piano che, oggi, non ci piace più.

Poi girare lo sguardo e, con un nuovo mazzo di carte, consapevoli di avere le stesse capacità che ci hanno permesso di costruire il castello a tre piani, iniziarne uno nuovo. Farlo con il sorriso, immaginando che non sia il castello definitivo e senza caricarlo di tutto quello che dovrebbe essere, ma godendoci il gesto, pronti a ricominciare se qualcosa dovesse andare diversamente da come vorremmo. Farlo con attenzione, disponibili a scoprire se fare quello che avevamo in mente non ci rende poi così felici, senza ostinarci a far combaciare quello che pensiamo ci faccia bene con il nostro stare bene più autentico.

Il cambiamento è come frugare nella boccia dei biglietti alla pesca di beneficenza. Un gesto leggero, nella certezza che di sicuro qualcosa pescheremo ma che da quello non dipende tutta la nostra vita e, soprattutto, non compromette chi siamo. Significa dare spazio al nuovo, un momento di vita alla volta, senza dover mandare all’aria tutto.

Se sono una parrucchiera nauseata, significa che per ogni ora di phone mi regalo 5 minuti di quello che vorrei finché l’idea di quel “vorrei” prende forza, certezza, vigore. Finché diventa il desiderio profondo e indiscutibile che ogni migliore cambiamento mette in moto naturalmente, senza bisogno di coraggio!

Cosa fare per cambiare?

Iniziamo con il prendere consapevolezza che non abbiamo il controllo. Anche quello che ci sembra sicuro può cambiare radicalmente da un momento all’altro (come hanno dimostrato fin troppo bene gli anni della pandemia).

Prendiamone consapevolezza perché il più grande nemico del cambiamento è il nostro pensiero, il quale è pronto a fare l’elenco delle cose che potrebbero non andare. Ricordiamogli, e ricordiamo a noi stessi, che anche l’adesso potrebbe smettere di andare come sta andando e che anche le nostre più grandi certezze potrebbero andare gambe all’aria tra un secondo.

Se il cambiamento ti interessa, se stai cercando di capire come mettere in atto il tuo cambiamento o semplicemente vivi nella noia e nell’insoddisfazione immotivata, ti propongo di seguirmi.

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