Si fa un gran parlare di scelte in questo periodo, di si e di no, di pro e di contro… come se il non lo so fosse qualcosa di cui avere vergogna.
E’, come sempre, l’ascolto dell’altro che mi impone una riflessione. L’ascolto.
Non il confronto, non il dibattito, non la chiacchiera. Quando il cliente si siede davanti a me e parla, io non ho opinioni. Sono il suo specchio perché solo lui, e grazie a lui, può vedere quello che gli serve.
Da questo spazio privilegiato ed estremamente potente (potente, si! Hai mai provato ad essere semplicemente ascoltato con ogni cellula da qualcuno che è lì solo per te?) spesso il tema che emerge è la scelta.
Ebbene, per scelta si intende fare/dire/baciare/lettera/testamento qualcosa rispetto a due o più opzioni possibili. Tutto qui. Eppure il più delle volte risulta un processo complesso e doloroso. In seduta, ma nella vita in genere, è assai raro che ci siano una A e una B definiti, immutabili. Come minimo ogni A genera a sua volta una C, una D e forse anche una E.
Sarebbe già abbastanza complesso se ci fermassimo qui, ma c’è un’altra questione da non trascurare.
Un uomo adulto, con una famiglia e una carriera di rilievo, stava analizzando a voce alta una situazione ingarbugliata. Lo faceva perché, nonostante la scelta vera e propria fosse di genere pratico, faticava a trovarci un dritto.
Come spesso siamo abituati a fare, aveva davanti a sé una immaginaria lavagna, con una colonna dedicata ai pro e una ai contro. Ad un certo punto l’emozione ha preso il sopravvento.
Con un gesto della mano ha cancellato la sua immaginaria classifica, si è afflosciato nella poltrona e, con una voce sottile, ha mormorato “quand’ero piccolo mio nonno mi ha detto che quando fossi diventato grande avrei dovuto dire al giudice con chi volevo vivere; avrei dovuto scegliere se stare con la mamma o con il papà che si stavano separando.” Si è fermato, poi mi ha guardato negli occhi e mi ha detto incredulo “mio nonno, capisci?!”.
La fonte.
Non dimentichiamo chi ci impone la scelta. Non dimentichiamo perché e com’è fatta quella fonte ad “illustrarci” le opzioni.
Quell’uomo “bambino”, per mano della sua fonte (un adulto di riferimento in cui riponeva fiducia e amore), ha inteso all’improvviso che sarebbe stato costretto a fare una scelta impossibile. Si è convinto che avrebbe dovuto dichiarare apertamente una preferenza che non aveva. Soprattutto ha iniziato a credere di avere il potere di fare molto male al genitore al quale sarebbe stato costretto a rinunciare comprendendo, nel modo più feroce, che “la scelta è anche una rinuncia”.
Quel bambino non dovette mai esprimere la sua scelta davanti ad un giudice e, da grande, ricondusse quel bislacco tentativo di salvare il salvabile al naturale schierarsi di un padre (il nonno) verso un figlio (il padre) che si separava da una controparte (la madre), percepita come pericolosa. Ma al mio cliente servirono molti anni per accorgersi che, per sopravvivere a quel terribile destino, aveva maturato una spiccata capacità a non scegliere, che significava non esprimersi, non sentire quello che era veramente buono per lui. L’unico modo per anestetizzarsi dal terrore e continuare a vivere.
A volte, dietro una scelta che dobbiamo fare, vera o presunta, si nascondono la vita o la morte emotiva.
E tuttavia scegliere determina l’appartenenza ad un gruppo senza il quale non potremmo sopravvivere, fisicamente.
Respirare profondamente e concedersi un “non lo so” è quanto di meglio possiamo fare per noi stessi: aiuta ad aprire la mente e predispone ad ascoltare meglio.