non lo so
consapevolezze,  news

Apre il club del #nonloso

Mi sono accorta che ho quasi paura ad intavolare un discorso con chicchesia su qualsiasi argomento. Anche parlare del tempo ormai è pericoloso perché il caldo che avanza e l’estinzione delle mezze stagioni diventano il naturale essiccarsi di qualsiasi virus oppure… il dramma da contagio tra sudore e gente che toglie la mascherina per non soffocare. Quasi che, anche per l’estate, ci sia il movimento del si e quello del no.

Lo schieramento che, se per caso ti attardi al centro, i fulmini che ti inceneriscono all’istante arrivano da entrambi gli estremi, per una volta d’accordo.

Tutti lo sanno chiaramente quello che è giusto e quello che è sbagliato, che va bene o non va bene, quello che andava fatto e non è stato fatto e quello che è stato fatto ma non andava fatto! E non solo oggi, con il Covid19, ma da un bel pezzo. Anche tragedie come il terremoto hanno fatto ruotare i pollici verso l’alto o verso il basso, più decisi e implacabili di Ponzio Pilato.

Ma cos’è questa urgenza di avere un’opinione? Cosa rischia chi non ha la sua da dire? Qual è il pericolo di non essere in un movimento (del si o del no) e stare fermi? Una crisi d’identità? Che poi ormai lo sa anche il mio gatto che se sei per il “si” il mondo virtuale in cui sei immerso e che ti alimenta ti farà sentire coccolato tra i si, grazie al prezioso algoritmo che ti rimanda solo ciò che vuoi vedere. Stessa cosa per il no, per il partito politico, per la teoria dei complotti, per virologia, neurologia, alchimia… Comodi ad ingrassare di ciò che già ci nutre. Immobili.

Non se ne discute neanche più perché alla fine della fiera, con il mio amico, non ci voglio proprio litigare… che tanto le sue fonti sono come le mie, per ogni mio no c’è un suo si ed è impossibile mettere un punto. Meglio evitare… altro che distanziamento sociale!

Allora forse, dico magari, chiedo… è tempo del #nonloso.

Quello sincero, non quello che fa spallucce per uscire da una discussione o quello adolescenziale che “non ho ascoltato quello che hai detto e con il – non so – mi salvo”. Un non lo so pacato, “questa cosa non la so” detto lentamente perché si crei lo spazio per un seguito, una risposta magari.

Non lo so ma forse è tempo di quel non-saper-lo curioso, consapevole che la verità (casomai fosse una sola) è nascosta chissà dove e che il tuo pensiero è l’unica cosa che posso raggiungere veramente, che può darmi qualcosa, con cui posso stare davvero.

Io proprio non lo so, tu cosa ne pensi?
(pausa da colto di sorpresa)
Mah, sai che anch’io non ci capisco più nulla (pausa per pensare davvero) Certo sarebbe figo se (esempi: i vaccini facessero solo del bene, il 5G semplificasse la vita,…)
Ma ovvio, anch’io vorrei che fosse così! E’ che ho paura, se ne sentono talmente tante.
(pausa creativa)
In effetti è difficile farsi un’idea reale. Ti ricordi Pippo? Lavora in quell’azienda che…
Ma chi? Quello che non avrebbe mai lavorato per…?! (stupore autentico)
Si, proprio lui (risata). Magari potremmo parlargli, chissà cosa ne pensa lui.
Dai chiamiamolo! E poi non lo vedo da una vita, sarà divertente (novità)

“L’irrazionale pienezza della vita mi ha insegnato a non scartare alcunché, nemmeno ciò che va contro tutte le nostre teorie (così effimere, nel migliore dei casi) o comunque non ammette spiegazioni immediate. E’ inquietante, certo, e non si può mai dire se la bussola funziona o è impazzita; ma la sicurezza, la certezza e la quiete non portano mai a nessuna scoperta”
C. G. Jung, 1949